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Figlio di Andrea Matteo d'Acquaviva, nasce alla fine del Trecento: sarà il sesto Duca d'Atri e governatore di Teramo. La sua fu un'esistenza molto burrascosa ed avventurosa, già nel 1408 prese parte alla strage della famiglia Melatini, nella quale i suoi congiunti si vendicarono dell'uccisione del padre. La famiglia degli Acquaviva resse per molti secoli le sorti del teramano e in larga parte del regno Angioino, già nel 1419 disponeva di 100 armati (mentre i baroni del regno ne avevano al massimo 25); questi numeri ne davano a vedere la grande potenza. Nella lotte per la successione della casa d'Angiò, Giosia si schiera con Giovanna, e nel 1424, alla morte del condottiero Braccio di Montone, occupa Teramo e addirittura con l'assenso di un seguace dei Melatini ottiene la carica di governatore, confermata anche dalla stessa Giovanna d'Angiò. Essendo il signore della città, scaccia il vescovo e sposa Margherita, la figlia di Francesco Ricciardi, signore di Ortona, per aumentare la sua influenza sulle terre d'Abruzzo. Per capire bene con chi aveva a che fare, l'Acquaviva convoca a Giulianova i membri delle due fazioni che a Teramo monopolizzavano la vita sia civile che polita, i Crollo e gli Antonelli: ebbene con un'abile mossa, "normale" in quei secoli, cattura i seguaci dei Crollo, che poi libererà. I Melatini però tentano un'insurrezione che, scoperta, innesca la vendetta: ben tredici persone vengono arrestate e in breve tempo impiccate; in seguito, per scongiurare altre rivolte, intima al seguito degli Antonelli di "osservare" il colle dove sono appesi i rivoltosi come monito. Tra il 1426 e gli inizi del decennio successivo intraprende varie scorribande con le sue truppe, prima nel territorio abruzzese, che si era ribellato alla corona Angioina, poi nel Piceno, cercando di conquistare Ascoli. Nel 1433 è nominato luogotenente di Francesco Maria Visconti, ma con l'arrivo dello Sforza deve fuggire da Jesi, dove si era stabilito, prima rifugiandosi a Recanati e a Fermo, poi a Roma. Si schierò con gli Aragonesi nella lotta tra Renato d'Angiò e Alfonso d'Aragona nel 1435, partecipò alla battaglia con il sovrano contro i genovesi uscendone sconfitto e catturato, fu condotto a Milano e per intercessione del Visconti venne liberato insieme all'Aragona. Tornato nelle terre d'Abruzzo con denaro e truppe cercò di estendere i domini della casa aragonese e al contempo di contrastare la causa dello Sforza nel vicino Piceno. Ma tutti i tentativi furono vani e, anche se Giosia si accordò con vari capitani di ventura, le conquiste del suo acerrimo rivale si estesero dal Lazio con Amatrice fino alla stessa Teramo. Seguì Alfonso fino a Napoli nel 1439, e sempre al suo fianco alla riconquista dei territori precedentemente perduti, ma comunque attento alla sua posizione: chiese addirittura aiuto a Francesco Sforza, suo acerrimo nemico, per cercare di tornare signore di Teramo! E vi riuscì. Alfonso mandò allora un suo esercito al comando dell'Orsini ma Giosia lo sconfisse ad Atri nel 1446. Il re Aragonese decise di occuparsi personalmente della situazione, ma non si arrivò allo scontro finale e, grazie a trattative lunghe e laboriose, si accordò per una pacificazione. Per alcuni anni la vita di Giosia rimase comunque tranquilla; con la morte di Alfonso nel 1458 le cose cambiarono di nuovo, ascese al trono Ferrante, ma l'Acquaviva non si schierò con lui e di nuovo incominciarono le dispute: nel 1460 nella battaglia di San Flaviano (Giulianova) si fronteggiarono Giosia Jacopo Piccinino e Ferrante, che vantava un esercito con a capo Federico da Montefeltro e Alessandro Sforza; le ostilità si risolsero a favore di questi ultimi, che tolsero al nostro Giosia molti dei suoi possedimenti. In seguito furono stipulate altre tregue con i suoi avversari, tra cui Matteo di Capua e Ludovico Malvezzi; nel 1461 dovrà lasciare prima Atri poi Silvi, mentre nell'agosto del 1462 si riaccenderà il conflitto: verrà assediato dai suoi ultimi nemici a Cellino Attanasio, ormai suo ultimo possedimento nel teramano, dove si era rifugiato con i suoi familiari e seguaci; qui morirà di peste.

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